La retorica bellica per raccontare le gravi malattie

Fonte foto: @rrobe

Roberto Recchioni (wiki) dice la sua sull’insopportabile retorica (mediatica) della narrazione sulle malattie gravi. Ne condivido il post su Instagram perché è un analisi lucida e chiara, inoltre, da malato (Ex?!?) sono passato attraverso il – dai! Usa la tua forza di volontà – Forza, devi combattere la malattia – quando invece ho capito che l’unica soluzione era arrendersi a tutto, abbassare le braccia e non reagire e quindi anche alla malattia, mi si è aperta la coscienza che la malattia è parte di me. Io sono come sono, sono malato, va bene come sono, va bene così.

Roberto (QUI la fonte) scrive:

Le persone che usano la retorica bellica per raccontare le gravi malattie sono, di solito, di due tipi: quelle sane e quelle malate che stanno vivendo molto male la loro condizione.

In questa retorica, il malato è un ”guerriero” che “combatte” una “battaglia”.
Questa cosa ha vari problemi.
Prima di tutto, sovrastima della forza di volontà come mezzo per guarire: più combatti, più aumentano le possibilità che tu guarisca. Che è una discreta stupidaggine perché le ragioni per cui si vive o si muore quando si è malati, dipendono principalmente dalla gravità della tua malattia, dalle cure mediche a cui puoi avere accesso e dalla tempestività con cui ci accedi. La volontà di vivere male non fa, ma se bastasse quella, non morirebbe nessuno.
Inoltre, dice pure che chi vive, combatte, ne consegue che chi muore è perché non ha combattuto abbastanza ed è stato sconfitto, “ha perso la sua battaglia”.
Se sei “forte”, “combattivo”, “resiliente”, “coraggioso”, allora sei un bravo “guerriero” che può farcela contro “la malattia”, che non è una espressione del nostro corpo, una parte di noi con cui dobbiamo imparare a convivere (per quanto possibile) ma un esercito nemico, un alieno, che ci sta invadendo.
La fragilità è un delitto perché solo i forti ce la fanno e se credi fortemente alla tua guarigione, allora guarirai.
Non è cosi.
Si vive e si muore per cause che, largamente, non dipendono dalla nostra volontà e sarebbe ora di smetterla di usare questa retorica becera, specie da grandi palchi, che colpevolizza il malato che muore e rifiuta quella condizione, assolutamente umana e a noi appartenente, di malattia.
Il male è una parte di noi.
Fare “guerra” alla malattia significa fare guerra a noi stessi, non accettare la nostra condizione, quello che ci sta succedendo e, in sintesi, chi siamo: non guerrieri ma esseri umani.

Grazie Roberto

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