Topolina. Ford Taunus. Zavagli e puzza di pesce

Ciao. Sono passati 42 anni l’ 11 luglio. Ti amai da morirne e scoprì allora il supremo dolore della mancanza e della fregatura. Ti ho amata da morirne e ci sono andato così vicino tante di quelle volte. Ma non eri tu, non era colpa tua, ero io, ero così, amavo e mi dolevo di amare. Ero sfinito di amare, ero sfinito di tutto perchè tutto volevo e tutto possedevo. Mi sfinivo e sfinito morivo, ogni volta e ogni volta ricercavo di morirne. Mi sfinivo. Sfidavo. Morivo e rimorivo ogni volta e ogni volta ancora.

Quei cinque giorni alla metà di luglio passati insieme, mi faccio solo una volta, roba leggera e poi tanto tu non capisci e non ne sai nulla.

Walter mi diceva: ” lei è la tua topolina” e anche: “se stai con la tua topolina non ci devi stare fatto”. Walter il saggio, il tossico perfetto, Walter il milanese, Walter l’amico di Piri che erano venuti in riviera d’estate con un kg di marocchino purissimo e la Ford Taunus per fare i soldi e smettere di farsi. E’ tutto molto bello che due tossici milanesi vengono l’estate in riviera a spacciare un kg di fumo per smettere di farsi. E’ na meraviglia, è Tarantino, è Burroughs, è Bukowski, è na figata e basta.

In cinque giorni mi faccio solo una volta perché tanto mi facevo di te. Ero così. Facciamo l’amore la sera dopo il primo incontro. In spiaggia naturalmente. Per te che sei quasi vergine vuoi la favola e le stelle, invece per me è roba già fritta, il sesso è già consumo, venivo sempre però dopo aver avuto l’illusione di accontentare la femmina del caso. Narciso ero, narciso sono. Sono quello che ero e sono quello che sono.

Mi sono allenato allenato con Maya, abbiamo scopato tutto l’inverno, era il mio giocattolo e l’ ho lasciata dopo averti conosciuto, Mi viene a trovare tre giorni dopo che eri comparsa. Mi porta dell’erba, la prendo e le dico che poteva ritornare a casa. Un zavaglio, l’ ho trattata come un zavaglio. Mesi dopo mi disse che al ritorno in treno si voleva ammazzare. Sarebbe anche stato bello, mi manca una che si sia ammazzata per me, fa curriculum nel mio giocare a ritroso nella mente, nel gioco a diventare pazzo.

Dopo quella seconda sera non facciamo più l’amore, tu non lo cerchi sei sempre altrove, sorda da un orecchio e abbastanza sorda dall’altro stai altrove, galleggi nel tuo incedere lo spazio e io ti adoro.

Ero sfinito nell’amarti. Eri magrissima, eri eterea, eri Cristiane F. pari pari, solo che non ti facevi. Eri la picchiatella più bella del mondo ed eri la mia ragazza e ti amavo e ne morivo, morivo di te e disintegravo tutto.

Quattordici anni fa ci rivediamo. Era di Marzo, ci risentiamo ai primi dell’anno e ci incontriamo nel parcheggio di un centro commerciale del Nord. Ci salutiamo, passeggiamo dentro il luogo effimero e tu mi prendi per braccio, teneramente, mi pare. Prendiamo un caffè e seduti fuori ti bacio  sulle labbra d’improvviso, non te l’aspetti, rimani sorpresa.

Poi, ricordi? Torniamo alle macchine e in piedi, appoggiati alla mia riprendiamo a baciarci. In piedi, ti appoggio le mani sul culo, mi viene duro, lo senti e le tue gote si arrossano di colpo. Dici: “saliamo in auto”. Appena chiuso lo sportello entriamo in bagarre. Ti metto la mano sui miei jeans, ti metto la mano sul mio amico intrappolato, troppo intrappolato nei calzoni. Scolorisce la patta talmente è duro. Ti bacio e ti accarezzo. Sei calda e il tuo sapore è buono. Irradi calore e voglia di sesso, mi piace che ti piaccia, ne godo e mi diverte. Sembri spiazzata, sembra che non ti aspettavi la mia focosità. Eppure è due mesi che ci sentiamo quasi tutti i giorni. Telefonate appassionate e gentili, tanti grazie e tanta poca voglia di staccare il telefono. Stacca tu, no stacca tu.

Poi scopiamo a Milano perchè sei terrorizzata che un albergo a Venezia possa far si che qualcuno ti veda. Tutto molto assurdo e tutto bello. La prima volta è un po’ strano, lo facciamo a luce accesa, nel primo pomeriggio e tu hai avuto tre figli. Puzzavi di pesce che facevi schifo. Non c’entra la pulizia, la femmina bionda naturale, pelle chiara e con molti piccoli microscopici nei quando è eccitata e agitata puzza di pesce, la passerina puzza di pesce. E’ un fatto certo, capita, non è affatto sgradevole anche se leccare una donna che sa di cozze e vongole non è il massimo. Ma si fa e si annusa tutto con gusto. Il membro è duro e il sesso avvolge. Va che sia così e va bene. Erano passati 28 anni e li portavi (male) tutti. Però scattò qualcosa.

E rifacemmo all’amore. Ahia! Fu molto meglio che la prima volta e ci prendiamo gusto.

Poi andiamo tre giorni a Trieste la prima settima di agosto. Dico a casa che vado a un corso di formazione a Pesaro tre giorni. Chissà perchè Pesaro.

A Trieste inizio a svestirti nell’ascensore del Victoria Hotel (4 stelle mica brustolini, tanto pagavi tu). Scopiamo come due adolescenti innamorati marci. Ci sfiniamo di scopare. I tre giorni di sesso e dolcezze più belli della mia vita, ambulanze che passano e la prima mattina al risveglio tu hai gli occhiali da vista e chiedi scusa. L’ultimo giorno facciamo sesso anale. Non vedevi l’ora di volerlo e ci sei arrivata sul filo di lana. Ti vergognavi di chiederlo, ti accontento, non sono un patito dell’anale ma nel caso lo gradisco. Mi spelo la punta del pene a farlo e godo oramai senza sperma, vengo secco, troppe volte il sesso e sono inseminabilmente vuoto. Vengo sempre fuori, sulla pancia e sulla schiena. Non ti piace ingoiare e non sei appassionata di sesso orale, ahia ma tant’è, gradisco il resto, gradisco molto il resto.

E poi i mesi, e poi i danni, e poi i casini. Passano due anni e i danni sono così irreparabili da esserlo, appunto, non più riparabili.

Ora non ci sentiamo più da tanto tempo. Non ci scriviamo, non gioviamo della nostra voce.

Non abbiamo superato i danni e i malanni, insieme no. Da soli forse si.

Ho lasciato una lapida scritta a mano e non ne vado fiero.

Sulle rive del grande fiume.

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