Otto di sera. Appartamento silenzioso e denso di tensione. Incazzatura spessa, palpabile. Ansia. Stasera anche i vicini del piano di sopra sono quieti, non muove un sospiro. L’inverno pieno dentro questo palazzo silenzia perfino l’ aria, il tempo, lo spazio e le prese per il culo.
Alan corre con i pensieri a quello che ha, aveva, alle mancanze. Ora vive come vuole, vive come sa fare. Vive solo, liberamente solo. Ha pochi amici e amiche. Si basta. O almeno quello che gli sembra. Alza lo sguardo verso le pareti vuote, sembrano stanche, anche le pareti.
Fuma e aspetta. Rimane in sospensione.
Cazzotti nella bocca dello stomaco. Tanti presi e restituiti.
Gli rimane a mente questo di se, un figlio di puttana. Un’altra donna ieri sera, sesso estremo e secco, malamente restituito a una realtà di disgusto. Sesso senza sentimento. La sua voglia di sesso come fosse reale quando invece è solo la sensazione di avere a fianco un corpo, una bambola, un buco da riempire e poi scacciarla via, due calci nel culo.
Basta femmine. C’è una lei che lo viene a trovare nel sonno, spesso, con le sue psicopatie e i suoi comportamenti assurdi. Quella lei che lui ha amato (?) come se non ci fosse un domani. Alan, non ci crede più. Ogni lunedì mattina un mantra consueto. Femmine uguale guai. Lo sa che il guaio è lui ma è più semplice dare guasti alle femmine. Dare danni al governo. Dare offese alla politica o a quel cazzo di boiler che smette di funzionare proprio mentre si fa la doccia. Se ci avessi ragionato sopra pensa. Avrei. Avrei un rapporto economico sociale più equilibrato, pensa. Vivrei con la moglie e la figlia libera da responsabilità cadutagli addosso come un frontale con un Tir.
Avrei. Stocazzo, avrei. Avrei tante scuse da pretendere. Avrei tante necessità umane, avrei che i ”devi fare” te li puoi infilare in culo perché i ”devi fare” sono solo io a potermeli dire. Avrei. Vorrei ma non posso.
Oggi pomeriggio le Pall Mall senza filtro sono finite nello spaccio di tabacco dove mi rifornisco.
< Ok, dammele con > e vaffanculo.
C’è un bel cazzo di differenza, chi fuma può capire. Le “con” durano la metà, non appagano. Vabbè, mi adatto, per le sigarette posso adattarmi. Non mi adatto più per un istituzione, un giudice, un tribunale. Non mi adatto più per una femmina.
Sono diventato talmente banale da non reagire a me stesso, nemmeno se il caso.
Alan, 35 anni sette mesi quattordici giorni di vita, due anni in carcere per proteggere un amico.
Alan che da figlio adottato ha sempre messo l’amicizia davanti, di fronte a tutto. Davanti alla protezione di un amico si è fatto due anni di galera. Senza ostentarlo, senza farsene un vanto, solo la normalità. Si chiama amicizia e viene innanzi tutto. La figata è solo l’abbraccio sincero di un amico, mentre cadi a picco, mentre parli talmente veloce che rimani senza saliva, il tuo amico, un tuo amico c’è. Questo vale, sopra tutto, davanti a tutto.
Alan con il suo ciuffo marrone nei capelli, con le velature argento sopra le basette.
Alan così duro da far paura ma che piange al telefono con la sua amica preferita mentre gli racconta chela sua malattia pare guarita.
Alan che spara al suo amico, per salvarlo e prendersi la colpa della rapina di quel coglione.
Alan che con la sua Golf di dieci anni, turbo diesel e fumosa, gira lentamente e a bassi giri di motore perla città.
Alan, sempre in equilibrio tra il lecito e l’illecito.
Alan, 35 anni di nervi e muscoli poco pronunciati.
Alan che mangiare viene dopo.
Alan che I’ importante è prima risolvere i problemi.
Alan che il ferro infilato dietro, nei jeans, da quel bel brivido tra le gambe. Che il ferro nessuno sa che ce l’ha ma lo sa solo lui e tra le palle scorre energia. Il potere delle vite. Il rischio. L’equilibrio, continuo, costante. Una vita perennemente sul filo del rasoio.
Alan che da la vita senza scansarsi di fronte a un nemico, di fronte a un contrasto dei suoi ideali. Alan, occhi marroni e il suo metro e novanta.
Alan che risponde agli uppercut della vita con altri cazzotti. Replicando. Sempre.
Alan che molla tutto, nemmeno quando gli dicono ha una specie di cancro nel sangue.
Non ascolta nemmeno quando gli dicono curati.
Alan che vive solo se vive il suo mondo, i suoi amici.
Alan che con il ferro infilato dietro la schiena sente potere e gli pare ”comando io”.
Alan che si sente un figlio di puttana trattando male una femmina dopo il sesso, invece è lui che non va.
Alan che il sesso senza amore è solo ginnastica.
Alan che si sente un figlio di puttana quando forse, non è.
Alan che si sente sempre adesso tocca a me.
Alan, che adesso esco e mi faccio un giro. Ferro infilato nei jeans.
Alan, che spero non serva.
Alan, che ha paura.
Tiziano Gioiellieri
